domenica 13 gennaio 2013

ovunque non basta

 
Guardo un posto e lo vivo. Poi mi giro e vedo nitidamente come quello stesso luogo venga vissuto da una persona esterna, sconosciuta.
Il luogo che per me è prigione, devianza dell'essere, costrizione socioculturale, rinnegazione del sé per uno sconosciuto può significare chiarezza, respiro, calma, fuga, tranquillità, sfogo, martirio.
E io non lo percepisco perché sono troppo presa dalla disillusione, dagli automatismi, dai miei sentimenti, dalla voglia di evadere, dal pensiero di leggere, dall'anarchia di poter scegliere.
Poi apro gli occhi e mi rendo conto che quel luogo è un rifugio per molti. Un rifugio per vite forse monotone, forse difficili. Persone con un lavoro che disprezzano. Una lavoro che non rappresenta il loro essere, da cui non riescono a trarre soddisfazioni e gratificazioni. Persone che non hanno un lavoro da cui distaccarsi. Un lavoro che determini cosa sono e cosa non sono. Cosa vogliono essere o cosa no. Per definirsi c'è davvero bisogno di sapere cosa non siamo? Ma di chi stiamo parlando. Di me o di loro? Forse ci sentiamo allo stesso modo. E se io mi rifugiassi nei loro uffici o sulle loro scrivanie potrei forse sentirmi meglio?
A volte basterebbe essere ovunque ma non in quel luogo. A volte invece no. Ovunque non basta.