Di tutti i cambiamenti di lingua che deve
affrontare il viaggiatore in terre lontane, nessuno uguaglia quello che lo
attende nella città di Ipazia, perché non riguarda le parole ma le cose. Entrai a Ipazia un mattino, un
giardino di magnolie si specchiava su lagune azzurre, io andavo tra le siepi
sicuro di scoprire belle e giovani dame fare il bagno: ma in fondo all’acqua i
granchi mordevano gli occhi delle suicide con la pietra legata al collo e i
capelli verdi d’alghe.
Mi
sentii defraudato e volli chiedere giustizia al sultano. Salii le scale di
porfido del palazzo dalle cupole più alte, attraversai sei cortili di maiolica
con zampilli. La sala nel mezzo era sbarrata da inferriate: i forzati con nere
catene al piede issavano rocce di basalto da una cava che s’apre sottoterra.
Non mi restava che interrogare i filosofi. Entrai nella grande biblioteca, mi
persi tra scaffali che crollavano sotto le rilegature in pergamena, seguii
l’ordine alfabetico d’alfabeti scomparsi, su e giù per corridoi, scalette e
ponti. Nel più remoto gabinetto dei papiri, in una nuvola di fumo, mi apparvero
gli occhi inebetiti d’un adolescente sdraiato su una stuoia, che non staccava
le labbra da una pipa d’oppio.
- Dov’è il sapiente? - Il fumatore indicò fuori dalla finestra. Era un giardino
con giochi infantili: i birilli, l’altalena, la trottola. Il filosofo sedeva
sul prato. Disse: - I segni formano una lingua, ma non quella che credi di
conoscere -. Capii che dovevo liberarmi dalle immagini che fin qui m’avevano
annunciato le cose che cercavo: solo allora sarei riuscito ad intendere il
linguaggio di Ipazia.
Ora basta che senta nitrire i cavalli e schiocchiate le fruste e già mi prende
una trepidazione amorosa: a Ipazia devi entrare nelle scuderie e nei maneggi
per vedere le belle donne che montano in sella con le cosce nude e i gambali
sui polpacci, e appena s’avvicina un giovane straniero lo rovesciano su mucchi
di fieno o di segatura e lo premono con i saldi capezzoli.
E quando il mio animo non chiede altro alimento e stimolo che la musica, so che
va cercata nei cimiteri: i suonatori si nascondono nelle tombe; da una fossa
all’altra si rispondo trilli di flauti, accordi d’arpe.
Certo anche a Ipazia verrà il giorno in cui il solo mio desiderio sarà partire.
So che non dovrò scender al porto, ma salire sul pinnacolo più alto della rocca
ed aspettare che una nave passi lassù. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno.
da Italo Calvino, Le
città invisibili